Dott.ssa
Claudia Iannotta
Studio di Psicologia e Neuropsicologia
- Torino
_CLOAKING
La ricerca neuropsicologica ha utilizzato
principalmente due metodi:
1)- DISSOCIAZIONI TRA SINTOMI (o DEFICIT),
per trarre le proprie inferenze interpretative
dall’insieme dei dati sperimentali.
Il principio che sta alla base del metodo
delle dissociazioni è che se si ammette
che il sistema cognitivo è multicomponenziale
(analogia con hi-fi moderni costituiti da
varie componenti come giradischi, lettore
cd, amplificatore etc..., in cui è
possibile aggiungere una nuova componente,
es. sintonizzatore, o sostituire una componente
opsoleta o danneggiata, senza dover necessariamente
modificare il resto del sistema; analogia
con struttura della stiva delle navi moderne
o dello scafo dei sommergibili, formati da
tanti moduli separati: nel caso di un danno
ad una porzione della chiglia l’acqua
penetra in un numero limitato di moduli, producendo
danni locali. Al contrario, se la struttura
non fosse modulare, una lesione, anche se
relativamente piccola e localizzata, causerebbe
l’allagamento dell’intero scafo).
Il modo migliore per svelarne le componenti
è di trovare pazienti che in seguito
ad una lesione presentino la compromissione
di un sottosistema cognitivo senza che gli
altri sottosistemi risultino danneggiati.
Esistono diversi tipi di dissociazione:
a) DISSOCIAZIONE SEMPLICE.
Si verifica quando un soggetto riesce ad eseguire
normalmente un certo compito, ma è
danneggiata la sua capacità di eseguirne
un altro.
Si parla di dissociazione forte quando un
gruppo di pazienti o un singolo paziente,
sottoposto ai compiti A e B, che permettono
di esaminare le funzioni F1 ed F2, mostra
di avere una prestazione normale al test A
e francamente patologica al test B.
Sarebbe la dimostrazione indiretta che le
funzioni che sottendono A e B dipendano da
sottoinsiemi separati e isolabili, infatti
un risultato di questo tipo può significare
che la lesione cerebrale ha causato un danno
alla funzione che sottende il compito B, ma
non alla funzione che sottende il compito
A.
Si parla di dissociazione debole quando ci
troviamo di fronte ad una dissociazione meno
netta; è possibile che un paziente
abbia una prestazione scadente in un compito
e nettamente migliore nell’altro, anche
se in entrambi i test il rendimento è
significativamente peggiore di quello dei
soggetti normali.
Vi è tuttavia un problema da considerare;
un risultato come quello indicato potrebbe
infatti essere dovuto al fatto che:
- la lesione non ha danneggiato solo il sottosistema
del compito A, ma anche, se pur solo parzialmente,
il sottosistema del compito B;
- il secondo compito, per essere eseguito
a livelli normali ha bisogno che il sottosistema
del compito A sia intatto;
- i due compiti che il paziente o il gruppo
di pazienti deve eseguire differiscono nella
difficoltà di esecuzione. Se il compito
A è più semplice del compito
B, potrebbe essere eseguito meglio solo perchè
richiede meno risorse cognitive.
Nel trarre conclusioni e generalizzazioni
da singole dissociazioni, bisogna prestare
attenzione, in quanto un paziente potrebbe
risolvere molto bene un compito ed avere notevoli
difficoltà in un altro, solo perchè
quest’ultimo è molto più
difficile del primo.
Si è generalmente d’accordo che
la sola soluzione a questo problema è
cercare di individuare delle doppie dissociazioni.
b) DOPPIA DISSOCIAZIONE.
Una doppia dissociazione tra due compiti (A
e B), si ha quando un soggetto esegue normalmente
il compito A e ad un livello ridotto il compito
B, mentre un altro soggetto esegue in modo
ridotto il compito A ed esegue normalmente
il compito B.
Se si può dimostrare una doppia dissociazione,
allora i risultati osservati non possono essere
spiegati sostenendo che un compito è
intrinsecamente più difficile dell’altro.
Nel caso delle ricerche sulla MLT e MBT, questo
tipo di dissociazione è stato dimostrato.
Si parla di dissociazione forte quando due
gruppi di pazienti o due pazienti hanno prestazioni
contrastanti ai compiti A e B. La normalità
e la patologia della prestazione dei pazienti
sono definite rispetto a quelle dei soggetti
di controllo.
La presenza di una doppia dissociazione elimina
il problema relativo alla facilità
di un compito rispetto ad un altro. In questo
caso un’interpretazione in termini di
difficoltà maggiore di uno dei due
compiti non è sostenibile, ed è
quindi possibile concludere che le funzioni
coinvolte nei compiti A e B sono indipendenti
tra loro. In questo caso, quindi, è
plausibile pensare che due diverse lesioni
abbiano danneggiato due sistemi funzionalmente
isolabili.
Si parla di dissociazione debole quando un
compito è eseguito in modop scadente
e l’altro in modo significativamente
migliore, ma non a livello normale.
In conclusione, la dissociazione, in particolare
quella “doppia” nella sua forma
“classica” (forte), è fin
dagli albori della neuropsicologia lo strumento
più potente per indagare l’architettura
anatomo-funzionale dei processi mentali e
la sua base cerebrale.
2)- ASSOCIAZIONI DI SINTOMI,
molto più frequenti in neuropsicologia;
è infatti più frequente trovare
delle associazioni di sintomi in uno stesso
paziente rispetto ai sintomi isolati puri.
L’associazione di sintomi può
essere dovuta a due cause principali:
- può essere dovuta al fatto che una
stessa lesione cerebrale colpisce aree funzionalmente
diverse (in questo caso l’associazione
è dovuta unicamente alla contiguità
anatomica delle aree in cui sono implementati,
con tutta probabilità, sottosistemi
funzionalmente differenti);
- potrebbe, al contrario, essere dovuta al
fatto che la lesione ha colpito una funzione
specifica, dalla cui alterazione dipendono
tutti i disturbi osservati (in questo caso
bisogna ricorrere a criteri precisi che aiutino
a stabilire quando l’associazione tra
sintomi ha un valore teorico. Il criterio
più attendibile è decidere che
due sintomi associati dipendono dallo stesso
sottosistema funzionale quando non è
possibile trovare uno dei due sintomi senza
l’altro.
L’associazione è dunque la tendenza
di diversi pazienti a non eseguire correttamente
una stessa serie di compiti. Se è possibile
individuare questa associazione di compiti
diversi, si tende ad assumere che vi sia un
medesimo processo cognitivo o meccanismo comune
alla base di tutti i compiti che risultano
danneggiati. Molto spesso, tuttavia, un danno
cerebrale non è limitato ad aree molto
specifiche del cervello.
Inoltre, i compiti studiati possono implicare
processi cognitivi diversi tra loro, ma localizzati
in zone anatomicamente molto vicine tra loro,
così che un danno ad uno dei processi
cognitivi si accompagna di solito a danni
a tutti gli altri.
Le associazioni di sintomi hanno avuto un
ruolo fondamentale nel definire la tassonomia
dei principali disordini neuropsicologici.
Un’associazione di n sintomi (N1, N2,
N3, N4 ecc....), può riflettere tre
diverse relazioni anatomo cliniche, dando
luogo a tre tipi di sindrome.
a) SINDROME ANATOMICA.
L’associazione nasce dal fatto che le
aree o i circuiti cerebrali (A1, A2, A3, A4,
ecc...), la cui lesione produce i disturbi
(N1, N2, N3, N4, ecc...), a loro volta determinati
dall’alterazione delle funzioni F1, F2,
F3, F4, ecc.., sono anatomicamente contigui.
Questa sindrome ha un valore anatomico localizzatorio,
che nasce dalla probabilità più
o meno alta che alcune aree cerebrali vicine
siano danneggiate assieme. Es. la combinazione
di 4 sintomi della sindrome di Gerstmann (agnosia
digitale, disorientamento destra-sinistra,
acalculia, agrafia), ha un valore localizzatorio
elevato: suggerisce una lesione parietale
postero-inferiore sinistra. Non ha tuttavia
un significato funzionale in quanto possono
essere presenti quadri parziali. Ciò
indica che i vari sintomi sono dovuti al danno
di funzioni diverse, anche se localizzate
in regioni cerebrali molto vicine.
b) SINDROME FUNZIONALE.
I sintomi N1, N2, N3, N4, ecc..., si manifestano
in associazione in quanto sono determinati
dall’alterazione della funzione F. Un
danno di F, quindi, produce sempre la sindrome
nella sua completezza. Eventuali eccezioni
possono essere spiegate solo dalla variabilità
individuale.
c) SINDROME ANATOMO-FUNZIONALE.
I sintomi si manifestano in associazione in
quanto sono determinati dall’alterazione
della funzione F, localizzata nell’area
cerebrale A o nel circuito C. Differisce da
quella funzionale in quanto F ha un correlato
anatomico.
d) SINDROME MISTA.
Lassociazione tra i sintomi è dovuta
a due fattori, uno funzionale ed uno anatomico.
L’associazione funzionale è determinata
dal fatto che N1 e N2 sono causati dall’alterazione
di F1, mentre N3 e N4, di F2.
L’associazione anatomica nasce dalla
contiguità spaziale delle basi neurali
di F1 e F2, A1 e A2 (aree). Una lesione può,
quindi, danneggiare A1 e A2, producendo l’intero
quadro sindromico, o, selettivamente A1 causando
N1 e N2, A2 causando N3 e N4.
Un’associazione può essere utilizzata
per esplorare l’architettura dei processi
mentali, verificando ipotesi alternative sulla
loro funzione e organizzazione.
Le associazioni possono anche essere utilizzate
nella valutazione degli effetti di un trattamento
(farmacologico, riabilitativo, stimolazione
fisiologica), su un deficit neuropsicologico.
Es. trattamento che consente un recupero più
o meno completo dell’efficienza di una
funzione coinvolta nello svolgimento dei compiti
A, B, C.
Se è vero che i compiti A, B, C, rispecchiano
l’attività della funzione in questione
(F1), un T (trattamento) con effetti specifici
su F1, dovrebbe determinare un miglioramento
della prestazione P in tutti e tre i compiti.
Il miglioramento dovrebbe essere inoltre selettivo:
se nel paziente è danneggiata anche
la componente F2, coinvolta nei compiti D,
E, F, gli effetti del trattamento non dovrebbero
estendersi ad essi. Se invece F1 è
coinvolta solo nello svolgimento di A e B,
ma non di C, il trattamento dovrebbe causare
un miglioramento nei primi due compiti. In
una situazione di questo genere, un’associazione
può essere utilizzata per esplorare
l’architettura dei processi mentali,
verificando ipotesi alternative sulla loro
funzione e organizzazione.
La ricerca neuropsicologica, nella sua storia
più che centenaria, ha utilizzato informazioni
provenienti dall’osservazione di:
a) - CASI SINGOLI,
b) - GRUPPI DI PAZIENTI selezionati sulla
base di criteri neurologici (lato o sede della
lesione) e/o comportamentali (la presenza
di un certo quadro neuropsicologico).
- La neuropsicologia scientifica nasce nella
seconda metà del XIX secolo con lo
studio di CASI SINGOLI neurologici che non
erano però caratterizzati da un rigore
metodologico, ma rappresentavano una mera
descrizione clinica del paziente.
- Lo studio di GRUPPI DI PAZIENTI, mediante
test standardizzati, ha rappresentato, nel
secondo dopoguerra l’approccio prevalente.
La maggior parte delle ricerche neuropsicologiche
degli ultimi 40 anni, ha riguardato lo sviluppo
di gruppi di pazienti.
Con questo metodo si è tentato di ovviare
all’incompletezza e all’ambiguità
insite nelle ricerche della neuropsicologia
classica, conseguendo, inoltre, un ovvio vantaggio
statistico.
Lo studio di gruppi di pazienti, infatti,
permette di eliminare la variabilità
casuale dipendente dalle caratteristiche individuali,
inoltre, l’esame neuropsicologico viene
standardizzato.
Le conclusioni non si basano più su
una serie di descrizioni cliniche ed osservazioni
informali di pazienti scelti spesso in modo
idiosincratico, ma sull’applicazione
di più rigorosi metodi di indagine.
I test neuropsicologici vengono precisati
all’inizio di ogni ricerca e somministrati
con regole ben definite, uguali e ripetibili
per tutti i pazienti. In questo modo i giuduzi
non si basano solo su analisi qualitative,
bensì su punteggi quantitativi che
vengono spesso normalizzati a seconda del
sesso, dell’età e del livello
di istruzione dei pazienti. Con l’introduzione
degli studi sui gruppi di pazienti, si è
poi ricorso al confronto della prestazione
del gruppo patologico con quella di un gruppo
di soggetti non cerebroolesi (gruppo di controllo).
Questo , per evitare di attribuire ad alcuni
comportamenti rilevati nei pazienti un significato
patologico, quando invece, può accadere
che gli stessi errori vengano compiuti anche
dai soggetti normali. A volte la quantità
e la qualità degli errori variano a
seconda dell’età o del livello
di istruzione e non sono dipendenti dalla
lesione.
Gli accorgimenti adottati per lo studio di
gruppi di pazienti hanno, quindi, lo scopo
di selezionare dei soggetti che abbiano delle
caratteristiche omogenee e scarsa variabilità
rispetto ad alcuni parametri.
Ma con quale criterio si sceglie di creare
un gruppo?
1) Selezionare i pazienti in base alla sintomatologia
che presentano.
Questo metodo di selezione dei pazienti non
tiene però conto della variabilità
dei deficit cognitivi e/o sensoriali e/o motori
che accompagnano il sintomo.
Questi disturbi “secondari” possono
in realtà influenzare la sintomatologia
del paziente.
Qualsiasi conclusione sulle osservazioni effettuate
dovrà quindi tener conto di questi
aspetti.
2) Selezionare i pazienti in base alla sede
della lesione cerebrale.
Anche in questo caso l’omogeneità
del gruppo non è mai completa, in quanto
nell’uomo non si è sempre in grado
di stabilire con assoluta precisione la sede
e l’estensione delle lesioni. A volte,
al danno strutturale localizzato in una determinata
area, si può aggiungere un danno funzionale
di aree lontane, ma connesse con la zona dove
si è verificato l’evento patologico
primario. Inoltre, anche quando le lesioni
in pazienti diversi possono, con buona approssimazione,
essere considerate sovrapponibili, si possono
osservare disordini cognitivi molto differenti
che rendono difficile l’interpretazione
delle osservazioni.
L’approccio dello studio sui gruppi di
pazienti ha come scopo fondamentale quello
di determinare se la lesione di precise aree
cerebrali porti ad alterazioni specifiche
nell’esecuzionedi determinati compiti.
Questo tipo di approccio è stato però
criticato come eccessivamente empirico. Esso,
infatti, poneva delle correlazioni anatomo-cliniche
anche rigorose, ma non si occupava di studiare,
utilizzando i dati sui pazienti, l’organizzazione
dei processi cognitivi normali.
Un’altra critica avanzata di recente
è che la prestazione media di un gruppo
di pazienti può mascherare comportamenti
significativi che si evidenziano solo analizzando
caso per caso il campione raccolto.
- Con lo sviluppo della neuropsicologia cognitiva,
la ricerca sui CASI SINGOLI, ha ripreso nuovo
vigore.
Non si è trattato tuttavia di un puro
e semplice ritorno all’antico.
L’approccio cognitivo al caso singolo
mantiene il rigore metodologico della psicologia
sperimentale, che ha caratterizzato i moderni
studi di gruppo. I test cui il paziente viene
sottoposto sono standardizzati; la prestazione
del paziente viene paragonata con quella di
gruppi di controllo adeguati; l’attendibilità
dei risultati può venire verificata
mediante repliche nello stesso paziente dell’esperimento
in questione. I risultati vengono infine sottoposti
ad analisi statistiche.
Il motivo fondamentale che ha determinato
la ripresa degli studi di casi singoli, è
la consapevolezza crescente che una lesione
cerebrale, la cui localizzazione ed estensione
è determinata da parametri anatomo-fisiologici,
può danneggiare più di una componente
del sistema così, se un gruppo viene
formato sulla base della sede o del lato della
lesione cerebrale, è possibile che
questa scelta metta assieme pazienti che in
realtà hanno difetti comportamentali,
e quindi danni funzionali, eterogenei.
Anche una selezione sulla base di una sindrome
clinica presta il fianco a questa critica,
in quanto potrebbe consentire l’inclusione
di pazienti con deficit non omogenei.
In conclusione, sia gli studi di casi singoli,
che quelli di gruppi di pazienti, possono
contribuire allo sviluppo della conoscenza
dell’architettura funzionale della mente
e della sua base neurale.
Non vi sono ragioni valide per escludere l’una
o l’altra metodologia di ricerca dall’arsenale
del neuropsicologo, ma possono esistere situazioni
specifiche in cui l’uno o l’altro
approccio sia più fruttuoso e la decisione
vada presa in modo pragmatico, caso per caso;
entrambi fanno parte integrante della neuropsicologia
scientifica.
E’ corretto condurre delle ricerche con
gruppi di pazienti quando la teoria e le ricerche
in una certa area sono ancora poco sviluppate.
Tuttavia, la bilancia dei vantaggi pende dalla
parte degli studi su casi singoli quando sono
disponibili teorie relativamente dettagliate.
Nonostante l’utilità degli studi
sui casi singoli, vi sono però alcuni
problemi nell’interpretare i dati tratti
da singoli pazienti:
a) non si sa il livello di abilità
del paziente, nell’eseguire il compito
cui è sottoposto, prima del danno cerebrale;
non è possibile dire se la lesione
cerebrale abbia o non abbia determinato una
riduzione delle sue capacità.
b) Il sistema cognitivo dei pazienti che hanno
subito un danno cerebrale può differire
qualitativamente da quello della maggior parte
delle persone normali prima del danno cerebrale.
c) Il paziente può avere risposto al
danno cerebrale sviluppando delle strategie
di compensazione che nascondono gli effetti
diretti del danno cerebrale sul sistema cognitivo.
Potrebbe sembrare che gli studi sui gruppi
forniscano un utile modo di ottenere prove
addizionali. Tuttavia, vi sono problemi notevoli
legati alle procedure di formazione dei gruppi
di pazienti che presumibilmente soffrono della
medesima sindrome neuropsicologica.
Un approccio che è generalmente superiore
al metodo di studiare i gruppi di pazienti,
è dunque quello di condurre una serie
di studi su casi singoli.
Se però una dissociazione cruciale
dal punto di vista teorico viene trovata in
un solo paziente, vi sono vari modi possibili
di interpretare i dati. Tuttavia, se la stessa
dissociazione si osserva in un certo numero
di pazienti, allora è meno facile che
tutti i pazienti avessero un sistema cognitivo
insolito anche prima del danno cerebrale o
che abbiano tutti fatto uso di strategie di
compensazione simili.
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