Esistono diversi
modelli utilizzati dai neuropsicologi, per
ragioni di maggiore chiarezza,li possiamo
distinguere in due tronconi: i modelli dell’800
ed i modelli contemporanei.
1) - MODELLO DELL’800.
Uno dei primi modelli utilizzati dai neuropsicologi
risale al secolo XIX. Questo modello si basava
su correlazioni anatomo-cliniche rigide: ogni
componente e sottocomponente del sistema cognitivo
doveva avere una rigida localizzazione cerebrale.
La neuropsicologia, infatti, nasce con Broca
(1861), che stabilì una connessione
tra lesioni di aree specifiche del cervello
e disturbi afasici; in particolare specificò
che l’emisfero sinistro era deputato
al linguaggio.
- Wernicke (1874), propose un modello in cui
il linguaggio veniva suddiviso in componenti
separate, connesse tra loro, che avevano correlati
anatomici distinti. Distinse due centri del
linguaggio: uno per le immagini acustiche-verbali,
localizzato nelle regioni temporali, uno per
quelle motorie-verbali, situato nelle aree
frontali.
- Jackson (1876), teorizzò che come
l’emisfero sinistro è competente
per il linguaggio, è anche probabile
che l’emisfero destro abbia sue competenze
specifiche non linguistiche, ad esempio funzioni
visuo-spaziali.
- Lichtheim (1885), aggiunse al modello di
Wernicke una componente per l’elaborazione
dei concetti per accedere alla semantica del
linguaggio, e spiegò i disordini della
lettura e della scrittura, ipotizzando centri
specifici per le immagini visive e per l’innervazione
degli organi periferici implicati nello scrivere
(centro della scrittura).
Sulla base di modelli di questo tipo si è
sviluppato, a partire dalla seconda metà
dell’800, un filone di ricerca che mira
a localizzare le basi neurali delle diverse
funzioni mentali. La presenza di un’
“associazione” tra un disordine
comportamentale specifico e la lesione di
una parte del cervello, consente l’inferenza
che la base neurale di questa funzione sia
localizzata in quell’area cerebrale.
Seguendo un metodo così riduzionista,
il modello poteva facilmente essere falsificato
qualora la localizzazione anatomica delle
lesioni si fosse rivelata imprecisa o errata.
Vennero infatti descritti casi clinici comportamentalmente
analoghi associati a lesioni di aree cerebrali
diverse; inoltre si osservò che una
lesione cerebrale può produrre disfunzioni
in aree distanti da quella che ha subito la
distruzione (diaschisi). L’ impiego delle
tecnologie dinamiche (P.E.T.) ha infatti dimostrato
che una lesione cerebrale può, oltre
a causare la distruzione di una regione specifica,
determinare una riduzione dell’attività
neurale di aree distanti da quella lesa, ma
ad essa connesse.
Veniva così messo in crisi il presupposto
dei modelli diagrammisti e cioè la
possibilità di inferire la struttura
dei processi cognitivi da una stretta correlazione
anatomo-clinica.
Per studiare la struttura dei processi cognitivi
un metodo strettamente anatomo-clinico risulta
inadeguato perchè spesso il disordine
osservato non è frutto solo della lesione
documentabile con i mezzi a disposizione;
inoltre, per trarre conclusioni credibili
sul tipo di funzione cognitiva lesa, una mera
descrizione clinica del paziente è
insufficiente ad individuare le componenti
del sistema cognitivo.
2) - I MODELLI CONTEMPORANEI.
Oggi i casi neurologici vengono studiati con
metodi sperimentali rigorosi e non sono più
delle mere descrizioni cliniche, spesso idiosincratiche
ed imprecise. Il caso singolo quindi, viene
considerato un metodo valido per trarre delle
inferenze per la funzione normale, anche se
la maggior parte delle ricerche neuropsicologiche
degli ultimi quaranta anni ha riguardato lo
studio di gruppi di pazienti.
I modelli utilizzati dalla neuropsicologia
cognitiva parlano di una correlazione tra
funzioni ed aree o circuiti : le diverse regioni
cerebrali sarebbero tra loro connesse, la
lesione dell’area A potrebbe causare
un difetto specifico in quanto disturba il
funzionamento del circuito C, di cui fa parte.
La correlazione, dunque, non va fatta solo
con l’area lesa, ma con l’intero
circuito reso mal funzionante dal danno cerebrale
focale (diaschisi).
- Negli anni ‘60 si diffusero i modelli
di flusso (o di analisi) dell’informazione;
questi modelli, pur descrivendo la mente umana
come un sistema complesso, costituito da molte
componenti tra loro collegate, si differenziano
dai modelli ottocenteschi in quanto non implicano
la corrispondenza tra componente funzionale
e localizzazione cerebrale precisa. Il loro
livello di descrizione concerne l’architettura
funzionale della mente e non i suoi correlati
neurali. La descrizione funzionale può
essere formulata nei termini della compromissione
di una componente specifica di un diagramma
di flusso dell’informazione.
- Anche il modello connessionistico è
un approccio allo studio dell’architettura
della mente che ambisce a fornire un modello
generale ed astratto dell’architettura
computazionale del cervello. Il connessionismo
fornisce una simulazione su computer dei processi
mentali; la metafora del computer viene sostituita
da quella del “cervello”. I modelli
connessionistici svolgono quindi la loro attività
computazionale in modo simil-neurale. L’unità
fondamentale di elaborazione è una
specie di neurone astratto che riceve e/o
invia segnali (numeri) ad altri neuroni. Vi
sono tre tipi di unità fondamentali:
unità di ingresso (ricevono segnali
da sorgenti esterne al sistema), unità
d’uscita (inviano segnali fuori dal sistema),
unità nascoste (le cui afferenze ed
efferenze sono situate all’interno del
sistema). Ogni unità trasforma l’insieme
dei segnali ricevuti in un segnale di uscita,
che manda ad altre unità ad esse connesse.
In un’architettura di questo genere la
conoscenza (M.L.T.), è depositata nelle
connessioni, mentre lo stato di attivazione
delle unità in relazione ad un certo
stimolo, può essere considerato una
rappresentazione a breve termine.
Visto il riferimento al cervello reale, l’approccio
connessionista interessa la neuropsicologia
più direttamente delle analogie o metafore
precedenti. Le reti artificiali sono un modello
astratto e relativamente semplice dei circuiti
neuronali reali, formati da dendriti ed assoni.
Una seconda applicazione neuropsicologica
delle reti neurali è quella di lesionarle
dopo che hanno appreso a svolgere un determinato
compito. E’ così possibile verificare
se la loro prestazione è simile (ad
es. per tipo e proporzione di errori) a quella
di pazienti cerebrolesi, che hanno un rendimento
scadente in quel particolare compito.
I risultati positivi delle simulazioni effettuate
indicano che l’architettura della rete
è un’organizzazione plausibile
del sistema danneggiato nei pazienti.
Un vantaggio delle simulazioni connessioniste
rispetto a quelle tradizionali (es. programmi
di computer come i sistemi di produzione)
è che la rete non viene programmata
apriori, mediante istruzioni esplicite, a
svolgere un determinato compito, ma la sua
capacità, inizialmente assai scarsa,
si sviluppa con l’apprendimento.
L’osservazione che un danno quantitativo
alla rete determina prestazioni e deficit
simili a quelli osservati nel paziente cerebroleso,
darebbe maggiore valore alla conclusione che
la rete è una simulazione plausibile
dei processi mentali.
In conclusione, la simulazione mediante reti
neurali, può fornire informazioni utili,
che vanno confrontate, con i risultati ottenuti
mediante la ricerca nell’uomo (studi
in pazienti cerebrolesi, esperimenti di attivazione
in soggetti normali).
Lo sviluppo dei modelli menzionati, ed in
particolar modo dei modelli di analisi dell’informazione
o diagrammi di flusso avvenuto negli anni
‘60, ha reso possibile la nascita della
neuropsicologia cognitiva.
In breve, le facoltà mentali possono
essere frazionate in una serie di componenti
con proprietà funzionali specifiche
tra loro collegate (es. M.B.T., M.L.T.). Se
la mente è costituita da una serie
di componenti con proprietà e connessioni
specifiche, è possibile che talune
di queste vengano danneggiate in modo più
o meno completo da una lesione cerebrale.
Pazienti cerebrolesi possono quindi essere
studiati con un duplice scopo:
a- interpretare il loro difetto neuropsicologico
nei termini della compromissione di una o
più componenti o connessioni dei processi
mentali;
b- acquisire nuove informazioni sull’architettura
funzionale di tali processi.Assunti teorici
della neuropsicologia.
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